ATTORNO
AL MAR NERO
di Italo Barazzutti
Miei racconti ne sono stati pubblicati diversi, ma quello che vi voglio
proporre è quello che ritengo il migliore, dopo ai libri ovviamente, in cui
senza vincoli di spazio, riesco a trasferire pienamente le mie emozioni…
Un viaggio realizzato nel 2004 attraverso l’Austria; l’Ungheria; l’Ucraina
e l’incantevole penisola di Crimea; l’incandescente Russia caucasica, con le
sue repubbliche che lottano per l’indipendenza; la poverissima Georgia; quindi
il fiabesco Kurdistan in Turchia. Sempre in Turchia la Cappadocia; poi il
Bosforo, il canale che divide l’Europa dall’Asia; la Bulgaria, e di nuovo a
casa attraverso l’ex Yugoslavia…
Un viaggio che mi ha soddisfatto pienamente: tanta gente incontrata, luoghi
bellissimi, imprevisti e colpi di scena. Le bellissime fotografie, di cui di
seguito ne propongo alcune, le ho racchiuse insieme a molte altre nella raccolta
fotografica “ed ancora più a Est”
ATTORNO AL MAR NERO
foto cliccabili
Già a marzo fervono i preparativi. Ho bisogno dei visti per Ucraina, Russia e
Georgia, ed è meglio iniziare le pratiche in anticipo nell’insorgenza di
qualche contrattempo. Come sempre contatto la mia agenzia di fiducia. Qualche
settimana più tardi la solerte impiegata mi informa via mail che per la Georgia
ci sono dei problemi: l’ambasciata vuole una dichiarazione firmata in cui
attesto di essere a conoscenza sulla pericolosità di quei luoghi. «È solo una
formalità!» penso ed un paio di giorni dopo gliela invio tramite raccomandata. Nel frattempo mi sto preparando anche fisicamente, e con l’ozono terapia cerco di ridurre i problemi creati da un’ernia al disco, diagnosticata lo scorso anno e che mi sta dando parecchio fastidio. Ormai è tutto pronto e la mattina del 29 maggio del 2004 faccio l’ultimo controllo. I dollari di riserva ci sono, così come i documenti ed i medicinali. La tenda non la porto, solo il sacco a pelo. Chiavi ed attrezzatura varia ci sono, qualche ricambio ed un litro d’olio per i rabbocchi… «C’è tutto!». |
Sarei pronto per partire ma mia madre mi trattiene per il bavero del giubbotto:
continua a farmi il “segno della croce” e ad impartirmi benedizioni con il
suo crocifisso. Quando mi sembra di averne prese a sufficienza cerco di
divincolarmi ma niente da fare; prima devo recitare con lei un’ultima “Ave
Maria”… Ora non mi resta che abbracciarla assieme a mia sorella: «State tranquille!» le rassicuro, «Stai attento figlio mio!» replica mia madre in lacrime, «Telefona!» conclude mia sorella. VROOOM… casco ben allacciato, luce accesa e via verso l’avventura; in un attimo sono in Austria. Sono euforico! Dopo la Mongolia nel 2001 sento che vivrò un’altra bella esperienza. Se ce la farò, ritornerò arricchito e migliorato, certamente un uomo ancor più maturo e consapevole. Mi sento pronto, ma in questi casi sono talmente emozionato che mi si arrossano gli occhi. Ma ora cerco di recuperare lucidità e concentrarmi sul viaggio. Il mio primo obiettivo è in Ucraina, più precisamente a Odessa. Lo scorso mese di ottobre, proprio a Odessa ho conosciuto Katia, una ragazza simpatica e carina. All’epoca abbiamo avuto modo di parlare solo per poco tempo, ma ci siamo piaciuti a sufficienza per scambiarci il numero di telefono. Siamo rimasti in contatto e adesso non vedo l’ora di rivederla: «E già… non si vive di sola moto!». Attraverso l’Ungheria gagliardo, mi bevo Budapest ed entro in Ucraina. Al confine di Chop sembrano ammorbiditi e la burocrazia si è fatta più snella. D’ora in avanti si parlerà russo, ed io un po’ mi sento a casa. Ora sto attraversando i monti Carpazi: un saliscendi continuo in uno spettacolo che definire bucolico è poco. Thelma è felice, e canta la sua gioia che pare un merlo in amore: «Che moto!». Supero la città di L’Viv. Più avanti, rivedo i posti dove due anni prima la polizia mi ha dissanguato a suon di “mazzette”; ora però ho fatto esperienza, so come comportarmi ed anche se mi fermano diverse volte ne esco sempre indenne. Ormai è quasi ora, e qualche giorno dopo aver lasciato casa mi sento alla vigilia di un giorno importante. Via sms ci diamo appuntamento nel parco di fronte all’hotel Passage, esattamente dove ci siamo conosciuti. L’altra volta eravamo di fretta ma ora è giunto il momento di conoscerci meglio… «Chissà?!?». L’indomani percorro l’ultimo tratto di strada che mi separa da Odessa. Ora però sono abbastanza teso e mi sudano le mani. Cerco di controllarmi mentre seduto sulla ringhiera di recinzione del parco la vedo arrivare. Il suo taxi si ferma una decina di metri davanti a me. Rispetto all’anno scorso si è tagliata i suoi bellissimi capelli biondi: «Peccato, ma va bene lo stesso!». La osservo mentre scende. Appoggia a terra prima il suo piedino destro: «Eh sì, il polpaccetto mi sembra davvero ben tornito!». Poi esce tutta, io la chiamo: «Katia!» lei mi scorge, e sorridente mi viene incontro. La volta scorsa nel suo castigato abbigliamento autunnale poco lasciava presagire, ma ora… Indossa una gonnellina grigia piuttosto corta, ed una camicetta bianca il cui unico bottone sembra esplodere sotto la spinta del suo… mammamia! «Eh sì, anche con i capelli corti direi che va moolto bene lo stesso!!». Odessa è un‘importante città portuale sul mar Nero; famosa, è la sua bellissima gradinata. Nei giorni seguenti Katia mi fa visitare la città. Qualche vasca per il centro, si va in ristorante, passeggiatina sul lungomare, insomma ci si diverte senza esagerazioni. Proprio come me Katia è una ragazza tranquilla che non ama la confusione. Parliamo del più e del meno in inglese, lei lo conosce benissimo, è stata un anno a studiare in America. Ovviamente la porto anche in giro in moto; si diverte come una matta, dice che per lei è la prima volta e mi sembra strafelice. Anche Thelma pare felice del suo dolce peso. Io? «Che domande!!». La storia assume decisamente una bella piega ma qualche giorno dopo mi prende la smania, e la informo che devo partire. Katia mi chiede di fermarmi ancora un po’. Io sono combattuto; sto proprio bene a Odessa con lei… davvero vorrei fermarmi, ma… Talvolta vorrei che non fosse così, ma… l’avventura ha su di me un fascino assoluto a cui non riesco ad oppormi. È una brama di ignoto che mi brucia nel petto, un amore irresistibile verso il mondo, un desiderio incontrastabile di confronto umano e di crescita personale. |
Come se niente fosse affronta il tornante: piega e poi si rialza. Evita un
sasso, poi una buca. Ora accelera prepotente; supera un carretto, un camion, poi
inchioda per schivare quella vacca che sta attraversando la strada. Come una
giovane brasiliana, sculetta sul ghiaino ma subito si riprende. Talvolta è
birichina ed allora scalcia sullo sterrato che pare impazzita. Poi vuole farsi
perdonare, e per farmi fare una pp si ferma all’ombra di quel bel larice là a
destra. Devo far veloce però, perché la “signora” subito vuole ripartire:
a caccia di nuove ed entusiasmanti emozioni… «Eh la mia Thelma!». La mia
schiena invece, ringrazia l’adrenalina che in questi momenti è alle stelle, e
l’ernia al disco pare sopita. Il Caucaso purtroppo è anche teatro di uno scontro che da anni si trascina con il governo centrale di Mosca. È una zona divisa in tante piccole regioni che chiedono l’indipendenza, anche al costo di violenti scontri armati. Ora mi sposto verso sud-est, so di andare incontro al momento più delicato di tutto il viaggio: il passaggio in Georgia. Ho deciso di tentare il valico più a est, quello di Vladikavkaz, che sulla carta sembra essere il più comodo e diretto per raggiungere Tbilisi: la capitale della Georgia. |
Aiutato dalla curiosità che suscita la mia straordinaria cavalcatura, riesco a
conquistarmi la simpatia anche di un poliziotto ad un posto di blocco, il quale
in segno di amicizia verso il popolo italiano, si sfila 100 rubli (tre euro) di
tasca, e me li porge. «Rassia-Italia» dice «drusiàt!» (Russia-Italia,
amici!). Resto sorpreso, attonito per l’insolito gesto e scettico, li rifiuto
con la mano. Ma lui mi rassicura: «Pà vodka» (Per la vodka) aggiunge. Vuole
che li beva alla sua salute… incredibile! Di fronte a tanta ospitalità io mi
sciolgo. Lo abbraccio, e commosso replico: «Kagnesna drusiàt!» (Ma certo che
siamo amici!). È un rapporto particolare quello che mi lega alla Russia, ho vissuto attimi troppo intensi perché possa essere diversamente. Alla sera mi fermo a Beslan, ospite a cena di Arthur e Nadine: due giovani sposi che ho appena conosciuto. Beslan è la cittadina dell’Ossezia balzata agli “orrori” della cronaca per essere stata presa di mira dai terroristi ceceni. Nella sua scuola infatti, nel settembre del 2004 è stato perpetrato uno dei più atroci atti terroristici nella storia della Russia, e dell’intera umanità. Una ferita che ha macchiato di sangue la storia moderna, e resterà per lungo tempo nel cuore di ognuno di noi. Con Arthur e Nadine comunque, parliamo del più e del meno. Vogliono sapere di me, del mio viaggio, del mio paese; loro dell’Italia hanno sentito nominare solo Venezia. Io chiedo di loro, della difficile situazione economica, delle loro difficoltà, dei carri armati che girano. Con loro i discorsi non sono mai banali, ma sono anche pronti allo scherzo ed alla risata. A serata ultimata vogliono che mi fermi qualche altro giorno loro ospite. Io commosso per tanta ospitalità li ringrazio ma mi schermisco: ho un lungo viaggio da affrontare e so che le difficoltà non sono nemmeno iniziate. Spesso telefono a mia madre. La informo sulla mia posizione, la tranquillizzo sulle mie condizioni, talvolta bleffo se in quel giorno il mio morale non è dei migliori; ma lei percepisce le sfumature della mia voce, non riesco ad imbrogliarla, e per sostenermi fa l’elenco di tutte le persone che hanno chiesto di me e mi fanno gli auguri. Lei sa che faccio qualcosa che ritengo importante, e mi incoraggia… sempre! La mamma: il porto sicuro, il grembo su cui piangere se le cose vanno storte, le fondamenta di una solidità interiore... benedetta! Scambio qualche sms con Katia, e con amici o conoscenti che mi vogliono sostenere. Per me sono davvero di grande aiuto, sapere che a casa mi pensano mi dà forza e coraggio. Ma ora ho bisogno di dormire. So per certo che la Georgia è un confine delicato e domani sarà una giornata determinante: dovrò dare il meglio di me in fatto di diplomazia, sensibilità ed intuito, il tutto condito da ottimismo ed entusiasmo. |
Il giorno successivo, con il cuore in gola e grande circospezione, ad oltre
5.000 km da casa approccio per la prima volta in vita mia il confine georgiano.
È pieno di disperati i quali disordinatamente attendono le lungaggini
burocratiche. Sfruttando lo stupore generale ed il grande effetto scenico della mia Thelma, supero la coda e mi porto velocemente a ridosso della prima barriera. In breve mi ritrovo accerchiato di curiosi; cerco di rilassarmi e di socializzare con tutti. I doganieri però mi informano che quel confine è transitabile solo ai residenti muniti di regolare lasciapassare, e pertanto, chiuso agli stranieri. Mi sento crollare il mondo addosso… ma non mi do per vinto. Bleffo, assicurando che questo è il confine che mi ha indicato l’ambasciata georgiana a Roma. Loro replicano, portando avanti le loro ragioni. Le provo tutte, ma dopo tre orette di serrata trattativa in cui non lascio niente di intentato, sono costretto a capitolare. Amareggiato, chiedo informazioni su quale sia il passaggio possibile. Mi dicono che per entrare in Georgia l’unica via certa è il mare, partendo dal porto di Novorossjsk; oppure tentare il confine di Soci. Mentre mi allontano piango lacrime di grande rabbia e delusione: mi sento frustrato, sconfitto, vinto. Cerco comunque di recuperare lucidità per fare il punto della situazione e decidere il da farsi. Sono un navigatore di Terra, e per ora scarto assolutamente l’ipotesi di un ingresso via mare, opto quindi per dirigermi senza ulteriori perdite di tempo verso il confine di Soci: importante città sul mar Nero, ma a ben 1.100 km di distanza! Due giorni dopo, rinfrancato nello spirito e rasserenato nell’animo, raggiungo Soci. Il confine dà sull’Abkhazia, una regione considerata “terra di nessuno”, ed in rivolta per ottenere l’indipendenza. Purtroppo di nuovo mi respingono. «No, non è possibile!». Insisto ed insisto ancora... «Impossibile!» dicono, «Perché?!?» chiedo. Un doganiere precisa che il presidente Putin per ragioni di sicurezza ha chiuso agli stranieri tutti i valichi via terra. «Noooo!!!». Un pugno sul naso mi avrebbe certamente fatto meno male… Sigh-Sigh… a questo punto mi sento davvero braccato dalla sfiga! Sconfitto, distrutto, e con il morale paragonabile alle coste della Florida dopo il passaggio dell’uragano Ivan, mi accendo una sigaretta seduto all’ombra di un pino marittimo. Poi, un pochino rinfrancato, chiedo come fare per raggiungere sta’ benedetta di Georgia. Mi informano, e due orette più tardi con la faccia del cane bastonato, sono alla biglietteria del porto di Soci per chiedere di imbarcarmi sul primo battello. Stavolta però mi sento fortunato: la nave per la Georgia è settimanale e parte solo il martedì, cioè domani! La bigliettaia specifica che per poter imbarcare la moto, devo presentarmi con diverse ore di anticipo all’ufficio merci del porto... OK! Alla sera non ho neanche fame, spero solo di riuscire ad imbarcarmi su quel battello, e dopo l’ennesima sigaretta mi addormento. |
Il giorno successivo, con l’umore recuperato all’80% e convinto che tutto
andrà bene, mi presento all’ufficio merci. Con fare diplomatico specifico le
mie esigenze alla segretaria, ma lei mi informa che sono al completo, e non c’è
posto per la moto. «No… impossibile…» penso incredulo. Fiducioso che la
sua risposta è solo il frutto di un’incomprensione dovuta alla mia scarsa
padronanza della lingua, cerco di spiegarmi meglio, ma lei mi ripete che sono al
completo. Un po’ meno fiducioso ma comunque ottimista, per intenerirla
racconto tutte le mie vicissitudini, suggerendo che un posticino per una moto
nella stiva di una nave si potrà pur trovare?!? Trepidante attendo una risposta
positiva, ma lei impassibile che pare una zitella senza speranza, replica alla
stessa maniera: «Nièt!!». «Kazzo no… non doveva finire così…». Un inferno di emozioni negative si abbattono sulla mia mente: «Siamo all’epilogo» penso mentre mi passo la mano sulla fronte per asciugarmi il sudore che ora sta colando copioso. Non salire su quel battello significherebbe fallire definitivamente nel mio proposito, e dover tornare indietro. «NO, non deve finire così!» penso mentre la rabbia sta per impadronirsi di me. Poi un nodo mi prende alla gola, percepisco chiaramente il morso dell’adrenalina. Sto per esplodere… esplodo! Con la faccia verde di bile mi gioco l’ultima carta ed in tono inequivocabile scandisco al meglio queste parole: «La-mia-moto-deve-assolutamente-salire-con-me-su-quella-nave!!!». La babbiona impassibile alza la cornetta: «Telefona alla polizia?!?!» penso allarmato temendo di aver esagerato. E invece no, chiama il capitano della nave per trovare una sistemazione per la moto. Tiro un sospiro di sollievo, e nel tardo pomeriggio mi imbarco su una “bagnarola” diretta in Georgia: «Yeah, ho vinto!!!». «Russia bastarda ti amerò per sempre!» penso soddisfatto mentre guardo dal mare, allontanarsi le luci del porto di Soci. «Anche stavolta hai tentato di fiaccarmi in mille modi, ma io sono stato tenace, ed alla fine mi hai premiato con le emozioni più forti». |
Il confine Russia-Georgia divide anche l’Europa dall’Asia. La mattina del giorno successivo sbarco finalmente a Poti, in Georgia, e sbrigate le formalità doganali mi avvio verso Tbilisi. La prima impressione georgiana è indescrivibile, spettrale, un paese ridotto alla fame. Tutto è grigio, abbandonato, eroso dal tempo e dalla mancanza di manutenzione. La Georgia, uno “staterello” piccolo e senza risorse ha voluto l’indipendenza dalla Russia, ed ora ne paga lo scotto. Le strade a tratti sono al limite della praticabilità, comunque alla sera sono a Tbilisi, una meta che ho caparbiamente desiderato. Scatto qualche foto con il treppiede sotto il cartello segnaletico indicante la città, ma sono così stanco che non riesco neanche a gioire. Il giorno successivo mi godo un meritato riposo e faccio il turista per le vie della capitale. Le macchine private sono molto poche ed il traffico è dominato da minibus. Neanche il centro città è risparmiato dall’impressione di squallore e di abbandono ricevuta dalla periferia. Non esiste un esercizio commerciale con le fattezze di un normale negozio, o un bar che assomigli ad un bar. Non si vedono cantieri edili, o restauri in corso. Le belle chiese, così come i grandi palazzoni del centro, sono lasciati nel più totale abbandono. I georgiani sono comunque gentili, miti ed ospitali. L’indomani sono di nuovo on the road, questa volta faccio rotta verso la Turchia. I locali mi assicurano che esiste un valico non segnato sulla mia carta geografica che mi farebbe risparmiare molti chilometri. Effettivamente c’è. La strada sterrata per lo più in salita è pessima, ed attraversa paesi e villaggi in stato di indescrivibile abbandono. Thelma, motocicletta polifunzionale, per l’ennesima volta si trasforma in CR. Procedo in “souplesse” sulle pedane usando solo la prima o la seconda marcia, e con la ventola del radiatore che non “stacca” mai, riesco nel mio intento di raggiungere il confine turco. |
Ma già qui i turisti accorrono a frotte, ed il “dio denaro” comincia a
dettare la sua fredda legge. Dalla Cappadocia, spostandosi verso ovest, la
Turchia perde le sue peculiarità, ed il grigiore della globalizzazione sembra
ovattare secolari tradizioni. Anche il paesaggio cambia, e diventa molto più
anonimo e piatto.
Superata Ankara inizia l’autostrada, 400 km dopo raggiungo Istanbul. Vorrei
entrarci ma le grandi città mi mettono soggezione, ed in più, la mia tabella
di marcia ha subito un grave ritardo nei due tentativi falliti di raggiungere la
Georgia via terra. Tiro dritto…
Ora alla mia destra ed alla mia sinistra posso vedere i moderni palazzoni di
Istanbul, ed altissime gru che ne stanno costruendo di nuovi testimoniano che la
città è in crescita, è attiva, è vitale. Poco più avanti mi pervade un
nuovo brivido… sto percorrendo il ponte sul Bosforo!
È lo spettacolare canale che separa il mar Nero dal mare di Marmara, ma ancor
di più segna il confine fra due continenti così diversi: la grande e placida
Asia, dalla piccola e nevrotica Europa. Spendo l’ultima notte turca a Edirne,
ad un passo dal confine con la Bulgaria. L’albergo è desolante ma a me
interessa solo concentrarmi sulla tappa di domani. Se la fortuna mi assiste
infatti, voglio concludere questo emozionante viaggio con una lunghissima
cavalcata. Venerdì 25, in una chiara e fresca mattinata di fine giugno, lancio
la mia sfida. Alle 6, motivato come non mai sono già in strada; Thelma
percepisce l’impegno e fa il “verso” delle grandi occasioni. In breve
approccio il confine bulgaro e un’oretta più tardi sono in Bulgaria. Supero
un carretto trainato da un somaro con le orecchie particolarmente lunghe e mi
sparo verso Sofia. Dopo Plovdiv inizia la doppia corsia, il fondo non è dei
migliori ma riesco comunque a tenere una buona media. L’anello circolare corre
molto esterno, e verso le 10e30 posso vedere in lontananza sulla mia sinistra i
palazzi della città di Sofia. Dopo Sofia la strada a doppia corsia si
restringe. Più tardi mi presento al confine con la Serbia… lo supero. Thelma
infaticabile, sta dando il meglio di se ed io sono bello carico. Sul far del
mezzogiorno, controllo la mia posizione sulla carta geografica mentre addento un
panino in un’area di servizio: «Posso farcela ma non devo perdere tempo!».
WROARR… l’animale ruggisce e scalpita ma la E80 verso Nis corre in una gola
molto stretta e trafficata: spesso in prossimità delle gallerie i camion devono
fermarsi per poter incrociare. L’asfalto è infido e procedo con gran
circospezione, ma in una curva a destra non mi avvedo di una perdita di gasolio
dal camion che mi precede: Swish... Thelma sbanda su entrambe le ruote in
maniera terrificante, istintivamente do una zampata di destro… sto per cadere…
ma miracolosamente riprende aderenza. «Kaazzzoo!!! Che gran botta di kulo…»
penso mentre riprendo il fiato che dalla strizza mi era venuto a mancare.
Evidentemente la Madonna ha voluto appoggiarmi la “Sua mano” sul casco; La
ringrazio veramente di cuore, e già che c’è Le chiedo la cortesia di non
toglierla… almeno finché non avrò raggiunto casa.
Poco più avanti supero il camion bulgaro che ormai sta perdendo gasolio a
cascata. Lo fermo, ed inkazzato come una ruga aggredisco di improperi l’ignaro
camionista. Ben presto mi rassereno, rendendomi conto che lui non ha colpa; gli
offro una sigaretta mentre valutiamo insieme il problema. Poi risollevato gli
stringo la mano, e confortato dalla “protezione celeste” mi proietto alla
conquista di Belgrado. Ora il pachiderma fila a cannone, ed alle 5 del
pomeriggio lambisco soddisfatto i palazzi di Belgrado. Sono circa a metà
strada. Ho percorso il tratto più brutto ma d’ora in avanti dovrò far i
conti con la stanchezza ed un naturale calo della soglia d’attenzione. Entro
in Croazia, e verso le 8 di sera sono fermo in un autogrill per rifocillarmi e
pulire il parabrezza prima che faccia buio. Me la prendo comoda, e seduto sul
marciapiede mi accendo una sigaretta mentre mi gusto la mia Thelma osservandola
dal basso verso l’alto: «È tutta sporca ma… quanto è bella!». Poi penso
alla mia ernia al disco: «Da che sono partito da casa non l’ho quasi più
avvertita! E pensare che il dottore mi aveva suggerito di usare la moto con
parsimonia… AH AH!» sorrido soddisfatto. «Ma che cosa ne sanno sti’
dottoroni di quali miracolosi effetti terapeutici ha la moto su di noi?!?
Ragazzi, è questa la nostra medicina!!!».
Ristabilito, ristorato, rigenerato, do di start… WROOOM. Prima di partire mi
fermo un attimo ad “auscultare” il battito del suo cuore al minimo: 950-1000
colpi al minuto; non un colpo anomalo od un’extrasistole, dopo 18 anni di
battaglie e 275.354 km indicati sullo strumento, il suo cuore è ancora regolare
come quello di un atleta: «Che gioiellino!».
Con il parabrezza pulito, verso le 10e30 supero Zagabria e subito dopo finisce l’autostrada.
Ora però, anche se sono sorretto da una grande motivazione devo ammettere di
essere stanco, e sulla strada statale scarsamente illuminata dal vecchio faro
H4, preferisco accodarmi ad una macchina che viaggia più o meno alla mia stessa
velocità. Entro in Slovenia e verso l’una supero Lubiana: l’ultima delle
quattro capitali di questa tappa. Ora inizia un breve tratto di autostrada fino
a Jesenice poi la statale verso Tarvisio. Comincio a sentire odore di casa!
Verso le 2 di notte, soddisfasttissimo entro finalmente in Italia. Ormai è
quasi fatta ma proprio a Tarvisio mi sorprende un temporale.
Stanco morto, quasi stremato, e molto dispiaciuto per l’indesiderata
incombenza, mi fermo sotto la pensilina di un distributore per indossare la tuta
antipioggia; ma prima, mi fumo un’altra sigaretta. Verso le 4 di mattina sfilo
di fronte al cartello segnaletico di Tolmezzo. Thelma, “nave ammiraglia” e
perla della flotta, dopo 12.300 km sta per concludere l’ennesima missione di
pace ed amicizia. Qualche minuto più tardi, la grande ammiraglia rientra in
garage, il suo porto sicuro, ed io sfinito ma felice, riabbraccio mia madre.
Dopo un’estenuante tappa di quasi 1.600 km concludo questa fantastica
avventura, in cui ho conosciuto meglio me stesso, il mondo e l’intera
umanità. Io non mi sono risparmiato: con entusiasmo ho stretto tante mani,
scherzato con tanti bambini, combattuto tanta burocrazia, ed ora mi sento
migliorato nello spirito e nella mente.
È questa che io considero la vera ricchezza di un uomo!
Spero con queste righe di avervi trasferito alcune delle mie emozioni, o
ancor di più, avervi dato la sensazione di viaggiare con me. Voglio fare un
ringraziamento particolare a tutti quelli che mi hanno dato, o che mi daranno
fiducia e sostegno, leggendo i miei libri; io e Thelma cercheremo di non
deludervi, e vi diamo appuntamento alla prossima avventura…